Guardandolo giocare solamente alcuni istanti sembra di fare un tuffo nel passato, quando le geometrie e il talento cristallino prevalevano ancora sulla muscolarità del tennis moderno. Andrea si è raccontato ai nostri microfoni iniziando dagli albori, con lo splendido rapporto con Lorenzo Sonego, passando per le grandi soddisfazioni raccolte in doppio e arrivando ad oggi, con la prima vittoria in un main draw ATP conquistata in Svezia. Nel 2022 cercherà di cavalcare quest’onda positiva, sognando le ATP Finals nella sua Torino.
Stoccolma? Pensavo di giocare la Serie A quel weekend, ma avevo letto male e non mi ero accorto che riposavamo...
Andrea Vavassori è nato a Torino il 5 maggio del 1995 ed è attualmente il numero 280 del mondo in singolare e il numero 69 in doppio. Giocatore atipico, molto aggressivo e "all'antica". Le variazioni sono il suo mantra. Nel suo palmares figurano 12 Futures, 8 challenger e 1 ATP 250 vinti in doppio. In singolare vanta diverse finali a livello Futures e semifinali a livello challenger. Qualche giorno fa, in quel di Stoccolma, è arrivata la prima vittoria nel circuito maggiore anche in singolare. Un ragazzo d'oro, intelligente e disponibile, si pone per il futuro obiettivi ambiziosi, ed è fermamente convinto di poterli raggiungere attraverso sudore e abnegazione.
L'intervista
Nel mondo del tennis sei conosciuto da tutti come Wave. È solamente un’assonanza o c’è dell’altro dietro a questo soprannome?
Sono Wave da sempre, nella scuola, nel tennis e nella vita di tutti i giorni. Probabilmente si è partiti dal cognome, associandolo a un’immagine, quella dell'onda, che mi piace molto. Ormai è entrato a far parte di me.
Chi ti segue sa che sei dotato di un gioco molto aggressivo e proiettato in avanti, molto gradevole dal punto di vista estetico. Hai sempre avuto questa predisposizione sin da piccolo oppure è uno stile di gioco che hai evoluto nel tempo?
Ho sempre cercato di giocare in questo modo, togliendo tempo all’avversario. Ricordo che mio padre mi faceva vedere le cassette in VHS di Rafter, Rusedski, Sampras. Poi andavamo in campo e cercavamo di fare come loro. È il gioco che mi diverte di più quando riesco a metterlo in pratica. Ovviamente nel tempo ho dovuto imparare a fare tante altre cose per completarmi come tennista: il servizio, il gioco di volo e lo slice rimangono i colpi in cui rendo di più, ma sto cercando di mettere più pressione anche da fondo campo, sin dalla risposta, facendo male con il dritto appena possibile.
Ti ispiri a qualcuno in particolare per il tuo serve and volley? Pensi che questa tipologia di giocatori possa avere un futuro anche nel tennis moderno?
I miei veri idoli appartengono al passato, penso a Rafter e Sampras. Più di recente ho apprezzato molto alcune mosche bianche come Stepanek, Lopez e Llodra, tutti giocatori molto estrosi. Credo che sia ancora oggi un gioco che da molto fastidio, soprattutto sulle superfici rapide, perché toglie ritmo e riferimenti ai grandi ribattitori. Anche sulla terra può rendere, per esempio con un kick sul rovescio. Bisogna essere bravi a variare il più possibile angoli e rotazioni; mischiando le carte a disposizione è un gioco che può ancora mettere in crisi molti giocatori.
Sei un ottimo doppista: 8 titoli challenger e un titolo ATP conquistato quest’anno in Sardegna. Li hai ottenuti complessivamente con 5 partner diversi, ma sono molti altri quelli con cui hai giocato e ottenuto ottimi risultati. Sei alla ricerca di un compagno con cui fare coppia fissa oppure credi che questa alternanza giovi al tuo tennis e faccia parte di un processo di crescita?
Devo molto al doppio, grazie a esso quest’anno ho giocato praticamente solo a livello ATP, ho partecipato all’ATP Cup e a tre Slam. Quando non hai una classifica elevata è difficile trovare un socio fisso: soprattutto se è un singolarista è molto complicato far combaciare le programmazioni. Dopo un paio di sconfitte, poi, è spesso difficile mantenere salda la collaborazione. Le coppie fisse sono le prime dieci o quindici, quelle che possono ambire alle Finals. L’idea sarebbe quella, nel giro di un paio di anni, magari. Ora ho iniziato con Dustin Brown e stiamo rendendo molto bene, abbiamo vinto due challenger. L’obiettivo è quello di arrivare l’anno prossimo a giocare Wimbledon insieme.
Come è nata la partnership? Lui che tipo è?
Ci siamo conosciuti in Bundesliga, il campionato tedesco, dove abbiamo giocato insieme a Colonia. Abbiamo deciso di provare a giocare qualche challenger e ci siamo subito trovati molto bene. È un bravissimo ragazzo, mi ha dato molti consigli che mi sono stati utili anche per il singolare, e addirittura è stato nel mio angolo a fare il tifo durante molte partite, sono cose che non ti aspetti da uno è stato 60 del mondo in singolo e 40 in doppio. Per me sarebbe fantastico condividere per qualche anno il circuito con lui. Abbiamo costruito un ottimo legame, anche fuori dal campo: ci sentiamo giornalmente. A Stoccolma mi videochiamava dopo ogni partita.
Il doppio si gioca ormai da tempo con punto decisivo e match-tiebreak a 10 punti. Con questa formula le partite spesso si decidono davvero su pochissimi punti. Ti piacerebbe giocare al meglio dei tre set normali?
Diciamo che non ho mai realmente vissuto la formula precedente, quindi ormai ci ho fatto l’abitudine. Era giusto accorciare le partite di doppio, per permettere anche ai singolaristi di giocarlo al massimo. Con il killer-point e il match-tiebreak basta veramente un colpo di fortuna o una risposta indovinata sul punto secco per far girare il match. Questo lo ha reso più spettacolare, perché il pubblico adora i tiebreak e le partite decise su pochi punti. Entrambe le cose insieme forse sono un po’ eccessive. Avendo giocato tre Slam su quattro, quest’anno, mi sono reso conto che con il terzo set e i vantaggi le partite sono un po’ più “reali”.
Veniamo a Stoccolma: ti presenti nelle qualificazioni dell’ultimo torneo della stagione senza aver mai disputato un match di singolare in un main draw ATP. Annulli tre match-point a Milojevic nel primo turno di qualificazione, e quattro giorni dopo sei sul centrale a fare partita pari con Shapovalov, dopo aver vinto con Kotov al primo turno. Come hai vissuto questo straordinario risultato? In virtù di questo, cambieranno le tue priorità tra singolo e doppio nella programmazione del prossimo anno?
Guarda, non pensavo nemmeno di andarci, perché pensavo di dover giocare la Serie A (per il TC Pistoia, ndr). Infatti non mi ero iscritto nemmeno in qualche challenger. Mi ero messo in lista per scrupolo, senza pensare che sarei entrato sul serio. Poi succede che un tour manager mi chiama e mi dice che sono due posti fuori dalle quali, e ciò equivaleva a dire che ero dentro perché di sicuro qualcuno si sarebbe tolto di lì a un paio di giorni. Era il giovedì e avevo appena perso a Eckental, al secondo turno in singolo contro Vesely e ai quarti in doppio in coppia con Dustin. "È un’ottima occasione", ho pensato, così mi sono subito messo a cercare i voli. Ne ho trovato uno da Norimberga, che è lì vicino, venerdì mattina alle 6, con uno scalo ad Amsterdam. Sono arrivato al circolo verso le 17:30, e per fortuna sono riuscito a palleggiare tre quarti d’ora. La mattina seguente ho giocato con Milojevic un match bellissimo e intenso. Nel terzo ero stato io ad avere più chanches, ma mi sono ritrovato ad annullare tre match-point, uno dei quali in maniera molto rocambolesca in risposta. Vincere quella partita in quel modo, restando così solido di testa, mi ha dato un sacco di fiducia. Con Serdarusic è stato un altro match durissimo, mentre con Kotov credo di essere stato bravo, più che altro, a gestire la pressione e l’emozione del momento. Con Shapovalov me la sono proprio goduta, è stato incredibile giocare sul centrale contro un giocatore così.
Il primo set poteva girare, ma lui è stato bravissimo nel tiebreak, con tre prime vincenti e due passanti incredibili. Questa partita mi ha comunque fatto capire che lavorando sodo posso ancora togliermi molte soddisfazioni in singolare.
Proprio per questo per quanto riguarda la programmazione cercherò sempre di mixare le due cose: l’obiettivo è giocare entrambe le specialità. La mia stagione si concluderà a metà dicembre, proverò a giocare altri due o tre tornei in singolare per provare a entrare nelle quali di Melbourne. Sarebbe il mio primo Slam in singolo.
Con Lorenzo Sonego, tuo coetaneo e torinese come te, hai condiviso molto: primo titolo challenger ad Andria nel 2017, prima vittoria Slam quest’anno in Australia, primo titolo ATP a Cagliari. Che rapporto c’è tra voi due?
Io e Lorenzo abbiamo condiviso tutto, le prime esperienze nei tornei a squadre under, poi gli Open in Piemonte. Abbiamo mosso insieme i primi passi nei Futures, giocando anche qualche doppio insieme già in quell’occasione. Lui ha preso i primi punti un po’ prima di me e ora giustamente si sta concentrando sul singolo, negli Slam preferisce sfruttare al massimo il giorno di riposo per essere competitivo al massimo al meglio dei cinque set. Vorremmo giocare altri doppi insieme; se riuscissi ad arrivare nei primi 50 riusciremmo ad entrare praticamente in tutti i Master 1000, e in quel caso Lorenzo riuscirebbe a giocare singolo e doppio.
E’ tempo di Finals a Torino, un pronostico?
Poter ospitare in Italia un evento così è bellissimo e sarà stimolante per molti bambini. In singolo ti direi Djokovic in finale su Medvedev, proprio come a Bercy. In doppio Mektic e Pavic hanno vinto di tutto in questa stagione, quindi meriterebbero, ma occhio a Granollers e Zeballos che stanno giocando benissimo.
Dovessi scommettere, sceglieresti Sonego qualificato alle Finals in singolo oppure Vavassori qualificato in doppio?
Con questa domanda stai un po’ giocando sporco! Ti rispondo che ci arriveremo entrambi, lui in singolo e io in doppio, perché siamo due che hanno sempre creduto nel lavoro. Di sicuro nel provarci e nel sognare ci divertiremo, poi si vedrà.
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