Ai blocchi di partenza l’edizione 2022 di Wimbledon, tra novità e perplessità. Divieto per russi e bielorussi, bye bye manic monday, e una storia che ricorda l’unicità di questo torneo.
È ricominciata la stagione sull’erba e finalmente è arrivata l’ora dell’appuntamento nel tempio del tennis, questa volta però con una nota amara. Nelle scorse settimane, Wimbledon ha infatti deciso di estromettere dal torneo tutti i giocatori, uomini e donne, con nazionalità russa e bielorussa. La risposta dell’ATP e della WTA è arrivata puntuale: in questa edizione non verranno assegnati punti validi per la classifica, decisione che ha fatto storcere il naso e non poco all’All England Club. Ecco, allora, che Wimbledon 2022 diventa formalmente un'esibizione.
Nonostante le criticità, inizia il terzo slam della stagione e, tra dissapori e malcontenti, porta con sé alcune novità: quest’anno, per la prima volta, si giocherà anche di domenica. Niente più giorno di riposo e niente più “manic monday”, che storicamente ha regalato grandi sorprese ed emozioni (ricordiamo nel 2001 l’ottavo di finale in cui un giovane Roger Federer sconfisse l’allora numero uno, Pete Sampras, 7-5 al quinto). Inoltre, da quando esiste il ranking ATP, il 23 agosto 1973, questo sarà il primo Wimbledon senza i primi due giocatori al mondo, Daniil Medvedev e Alexander Zverev; e sarà la prima volta, dal 1998, in cui non è presente il campione svizzero. C’è anche un altro episodio che non era mai avvenuto tra i fili d’erba del club inglese e che quest’anno ha avuto luogo: il centre court ha aperto le porte in anticipo ai giocatori. Dopo gli infortuni dell’anno scorso avvenuti nel primo turno (il ritiro di Mannarino contro Federer e il ritiro della Williams contro Sasnovich), a causa di una superficie senza macchie e scivolosa, è stata avviata una sessione di allenamenti pre-torneo, capitanata da Nadal e Berrettini, per preparare il terreno del campo centrale.
Wimbledon, quest'anno, ha rotto un po' con la tradizione. Però, c'è una cosa che non cambierà mai: la magia dei fili d'erba e l'unicità di alcuni personaggi, senza i quali questo torneo non sarebbe possibile.
L’uomo che invocava la pioggia: “giusto uno spruzzetto, per rinfrescare l’erba e basta”
Conosci Robert Twynam? Si tratta di una figura mitologica realmente esistita, metà uomo metà oracolo. John McPhee, nel “più bel libro mai scritto sul tennis” - parola di Gianni Clerici - intitolato “Livelli di gioco”, racconta di lui e di come vede il torneo a 30 centimetri da terra. Robert Twynam è stato il giardiniere capo di Wimbledon. Quando McPhee lo intervista è il 1967 e lui è lì da 44 anni. Con il suo prato di settecentottanta metri quadrati, il migliore al mondo, ha un legame talmente intimo che passa moltissimo tempo solo a guardarlo e tiene un diario esclusivamente dedicato al Centrale. Ci cammina sopra a lungo, avanti e indietro. Ogni tanto si mette a quattro zampe e avanza carponi, per osservare da vicino i rapporti, in perenne mutamento, fra le varie piante che ci crescono.
“Twynam non è un orticultore, né un botanico, né un erborista, e il suo modo di crescere e curare le piante ha poco a che fare con la scienza. È un orante, che passa una parte del suo tempo a pregare per l’erba. […] Qualche sera Twynam prega per la pioggia, ma con un certo altruismo, nel senso che la invoca a partire dalle dieci e mezzo”
Twynam si è visto passare davanti i più grandi giocatori dell’epoca e di ciascuno si è formato un giudizio da un unico punto di vista: quello dell’erba. Non distingue tra giocatori di tocco e di potenza, ma fra strusci, pattini e zappe. I primi sono quelli che con la punta del piede, durante il servizio, trascinano la scarpa sull’erba formando un semicerchio e questo significa che a fine partita ci sarà un solco a mezzaluna talmente netto e profondo da sembrare inciso a fuoco. Ovviamente l’auspicio del giardiniere è che gli strusci escano tutti al primo turno. I secondi, invece, sono quelli che corrono per recuperare la posizione e poi scivolano per almeno un metro per raggiungere la palla. Twynam dice che il campo ci è abituato, ma i più grandi, come Jack Kramer, lo fanno il meno possibile (tanto lo sanno dove andrà la palla). Infine, ci sono le zappe, che dopo un punto perso usano la racchetta come fosse un’ascia, il risultato è un avvallamento nel prato di almeno dieci centimetri e profondo tre. Quando accade, Twynam entra in campo e ripara il danno, per questo durante il torneo si tiene sempre nei paraggi pronto ad entrare in azione.
Alla fine della storia che John McPhee racconta, succede che si avviano insieme sul campo centrale a vedere il campione in carica, Santana, contro il poveretto di turno, Pasarell. Il giardiniere osserva solo i loro piedi, i loro movimenti e il contatto con l’erba, e quando Pasarell si prepara al servizio commenta: “Vede come lo appoggia piatto. Così, così. Un giocatore eccezionale. Non trascina il piede, nossignore”.
Così John McPhee ci descrive Robert Twynam, che, a tratti, più che un giardiniere sembra un sacerdote: le sue preghiere sulla pioggia vengono sempre esaudite e i suoi pareri sui giocatori sono sempre in base alla loro clemenza con la superficie erbosa. Egli li giudica guardando soltanto i loro piedi, come questi si muovono lasciando zolle o meno sul campo, e allora capita anche che azzecchi un pronostico quasi impossibile: Santana perdente contro Pasarell. E chissà cosa direbbe oggi del nostro Berrettini.
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