Dalla squalifica per doping alla semifinale in un Master 1000, sulla terra, la superficie a lui meno congeniale. La rinascita di un giocatore atipico, che riesce a far coesistere un temperamento burrascoso con un tennis intellettuale e stilisticamente impeccabile.
Se il torneo di Daniel Evans fosse un’opera d’arte, sarebbe sicuramente un quadro di Kandinsky. La schizofrenia dell’elemento geometrico, le linee (curve, rette, sottili, spesse) che si accavallano e si compenetrano, originando quel «caos ordinato» tipico della corrente astrattista.
Questo astratto «caos ordinato» ha trovato concretizzazione a Montecarlo, nel tennis del britannico. Traiettorie, rotazioni, variazioni. Repentine sortite a rete, palle corte soffici e deliziose (per gli occhi) come zucchero filato. Una semifinale in singolare e una finale in doppio, in coppia con Neal Skupski. Al primo turno è subito battaglia contro il finalista dell’edizione del 2019, Dusan Lajovic, sempre ostico sul rosso, ed Evans se ne libera per 63 67(11) 62. Al secondo turno passeggiata di salute contro Hurcacz (il polacco, fresco vincitore di Miami, ha dato fin da subito l’impressione di essere venuto nel Principato con intenti più vacanzieri che agonistici) e poi le due imprese, negli ottavi contro Novak Djokovic (64 75), e nei quarti, in rimonta, per 57 63 64 contro un David Goffin che era apparso in grande spolvero nei giorni precedenti. In semifinale è arrivato svuotato di ogni energia, forse anche a causa del suo impegno in doppio, e ha opposto poca resistenza contro Tsitsipas.
Il match con Djokovic
Il trentenne di Birmingham ha applicato con solerzia l’intramontabile tattica del «se non mi sfondi allora cederai prima tu». Solo che non l’ha applicata contro uno qualunque. Nole ha smarrito ogni tipo di certezza al cospetto delle rasoiate del britannico, sempre telecomandate a un palmo dalla riga. Mettici un Djokovic a mezzo servizio (anche se il giorno prima aveva dominato Sinner) e pure il campo zuppo dopo la pioggia dei giorni precedenti: il risultato è una partita dai ritmi pacati, in cui paradossalmente è il numero uno del mondo ad adattarsi al gioco imposto da Evans.
Il serbo era molto lontano dai giorni migliori, certo. Il suo harakiri culmina con il doppio fallo che manda Evans a servire per il match. Ma c’è molto del britannico in questa vittoria. Interpreta un tennis vario e multiforme, offre palle sempre diverse, disegna sul campo geometrie di rara bellezza. Il suo è un tennis nobile, d’altri tempi, accessibile a pochi. È a mio parere uno dei giocatori più intelligenti del circuito. Gioca una partita che è prevalentemente di contenimento, ma la condisce però con celestiali discese a rete e improvvisi serve and volley (su terra, contro Djokovic!). Come quei centrocampisti d’interdizione che vincono tutti i contrasti e nei minuti di recupero hanno anche la forza e il coraggio di inserirsi in area per trovare la zampata vincente e il gol decisivo.
Ma facciamo un passo indietro
Erano esattamente quattro anni fa quando Daniel Evans venne trovato positivo alla cocaina durante un test anti-doping. Era all’apice della sua carriera e all’improvviso perse tutto: la classifica, gli sponsor e il rispetto dei suoi colleghi. Ammise subito le sue colpe con delle parole molto franche che, se rilette oggi, riflettono un pentimento sincero:
Ho commesso un errore e ora devo affrontarne le conseguenze… l’unica cosa che posso fare è scusarmi dal profondo del mio cuore. Questo è per me un giorno molto difficile. Volevo venire qui di persona per dirvi che pochi giorni fa sono stato informato di aver fallito un test anti-doping fatto ad aprile, e sono risultato positivo alla cocaina. Non considero accettabile il mio comportamento neanche per un secondo, è stata una cosa inaccettabile. Ho deluso molte persone, la mia famiglia, il mio team, gli sponsor, il tennis britannico e i miei fan.”
Una complessa parabola esistenziale viene dunque affiancata da un’altra, tennistica, davvero straordinaria. È ripartito dalle qualificazioni dei challenger e in tre anni è riuscito a migliorare il suo best ranking e a battere il numero uno del mondo nel centrale di Montecarlo. Per quanto possa essere dipinto come un badboy o un attaccabrighe, la verità è che il tennis ha bisogno di giocatori come Dan Evans, di tennisti dalla cui racchetta non sai mai cosa potrebbe uscire; aldilà della sua storia tribolata, ciò che Evans ha messo in mostra a Montecarlo mi rincuora assai. Forse il bel gioco non è ancora destinato a morire.
God Save Dan Evans!
Grande articolo su Evans ! Mi guarderò con calma la partita , assolutamente d'accordo che ci sia bisogno di cavalli pazzi come lui