Abbiamo avuto la possibilità di fare alcune domande a Vincenzo Santopadre, allenatore di Matteo Berrettini e head coach presso la Rome Tennis Academy. Non le solite domande: un’intervista unconventional, come il nostro blog.
7 maggio 2001. Primo turno degli Internazionali D’Italia. Sconfiggi Magnus Norman
(nel recente passato allenatore di Soderling e Wawrinka) con un netto 6-4 6-3. Abbiamo scelto questo aneddoto storico per introdurre il primo quesito. Entrambi siete stati tennisti di alto livello, poi diventati affermati coach di top-player. Quanto conta aver giocato partite e tornei importanti per consigliare al meglio il tuo giocatore?
Secondo me non è strettamente necessario esser stati tennisti professionisti, l’aver giocato nel circuito aiuta però a creare l’empatia e la simbiosi necessaria ad un allenatore per seguire al meglio il suo giocatore. Bisogna stare attenti a non imporre il proprio vissuto, ma essere una fonte di aiuto, un supporto, in virtù delle stesse sensazioni provate sulla pelle. Il condividere con l’atleta le emozioni del proprio passato potrebbe talvolta rivelarsi un boomerang, con effetti negativi. Trovare l’equilibrio in queste dinamiche è un aspetto delicato del mio mestiere, bisogna avere intelligenza e una sensibilità importante.
Parliamo della Rome Tennis Academy: “giocatori non si nasce, si diventa”. Ci racconti l'origine di questo progetto?
Il progetto nasce insieme a Stefano Cobolli e Massimiliano Meschini come prosecuzione del lavoro fatto al Circolo Canottieri Aniene. A un certo punto abbiamo riscontrato la necessità di offrire un servizio migliore ai nostri allievi, con più campi coperti e uno staff più numeroso, che potesse accompagnarli nei tornei in giro per il mondo, e l’idea di fondare questa accademia è venuta quasi naturale. Continuo a lavorare ancora oggi con gli altri maestri e Alberto Lommi alla scuola tennis: a loro sarò sempre riconoscente, senza il Circolo Tennis Aniene non ci sarebbe potuto essere questo progetto. La Rome Tennis Academy nasce quindi da un’esigenza concreta per supportare nel migliore e più completo dei modi sia i giovani che ambiscono a una carriera da professionisti - i fratelli Berrettini, Gigante, Cobolli e tanti altri - sia gli junior più promettenti del nostro territorio. La RTA è la nostra “missione” collettiva, una creatura dal cuore che palpita.
Il dritto di Matteo Berrettini, secondo alcuni dati pubblicati da siti specializzati, risulta essere il più “arrotato” (palla carica di top-spin, oltre le 3300 rotazioni per minuto) dell’intero circuito ATP: caratteristica innata o costruita?
La potenza e la rotazione con le quali Matteo colpisce la palla con il dritto sono in gran parte dovute a doti innate e per assurdo credo che il dritto sia il fondamentale che ha allenato meno negli anni in termini di ore. C’è stato invece un allenamento tattico, tecnico e mentale per giocare sempre più aggressivo. Matteo ha un movimento molto personale nell’esecuzione di questo fondamentale. C’è stato un momento in cui con Lommi e Cobolli abbiamo riflettuto sul fatto che questo personalismo poteva forse rappresentare un ostacolo per l’efficacia di questo colpo, ma abbiamo deciso di non intervenire; abbiamo fatto bene e siamo stati fortunati. Il dritto di Matteo è un’arma che qualsiasi giocatore al mondo vorrebbe avere nel proprio bagaglio tecnico.
Ritorniamo al 2014, al doppio di spareggio con Simone Bolelli contro Potito Starace e Andrea Basso del TC Genova: quali ricordi hai di quella finale?
Quella Serie A me la ricordo benissimo! Eravamo un gruppo affiatato, c’era un bel clima, tra giovani e meno giovani. Io avevo 43 anni e Matteo Berrettini era giovanissimo, ne aveva 18, e nonostante ciò aveva vinto tutti gli incontri di singolare prima di quella finale. Quando siamo arrivati al doppio di spareggio avrebbe potuto giocare lui (in quanto giocatore vivaio, ndr) ma alla fine sono sceso in campo io. In quell’occasione ho capito davvero quanto era forte Simone Bolelli, che mi portò alla vittoria nonostante quella fosse per me la terza partita tirata in due giorni. Non a caso, un mese dopo ha vinto gli Australian Open in coppia con Fabio Fognini. Credo di essere stato d’aiuto per fargli prendere consapevolezza dei suoi mezzi! A parte gli scherzi, ho un sacco di ricordi piacevolissimi: erano e sono ragazzi molto legati fra di loro, ed è rimasto l’attaccamento alla maglia. Questa probabilmente è la vittoria più grande.
Com’è nata la collaborazione con Flavio Cipolla (best ranking di 70 ATP nel 2012)? Flavio era un giocatore dalle caratteristiche diametralmente opposte a quelle di Matteo Berrettini: tanta difesa, attendismo tattico e variazioni continue… è stato un sodalizio soddisfacente e proficuo per entrambi?
É stata una situazione abbastanza particolare, Flavio era sempre stato allenato solo da suo padre Quirino. Per un periodo di tempo sono stato suo compagno di squadra in serie A1, avevamo un ottimo rapporto e gli è venuto naturale chiedermi di dargli una mano. É stata una fase di vita sportiva che ha arricchito e migliorato entrambi, sintesi perfetta di quello che dovrebbe sempre verificarsi nello scambio tra allenatore e giocatore: un potenziamento reciproco delle proprie qualità.
Vincenzo Santopadre insieme a Matteo Berrettini, dopo la vittoria nell'ATP 250 di Belgrado, si trova già a Madrid per preparare il secondo Masters 1000 sulla terra battuta. Dajè Vincè! Forza Mattè!
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