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Immagine del redattoreRiccardo Eger

In difesa del tennis alle Olimpiadi

Aggiornamento: 24 lug 2021

Qualche tempo fa avevo portato quella che allora era la mia ragazza a vedere una mia partita di torneo. Mentre aspettavamo il nostro turno, guardando le altre partite, era sconcertata e divertita dal modo in cui giocatori e giocatrici si incitavano dopo aver vinto un punto importante. Urlacci, smorfie, gesti plateali, oppure il semplice ed efficace “pugnetto”. Il tutto, diceva, era reso ancora più grottesco dal fatto che gli spettatori di questo Open di periferia fossero in totale sette, compresi il custode del circolo e il giudice arbitro. Lei giocava a pallavolo, uno sport in cui invece è molto importante il gioco di squadra, il darsi il cinque, l'esaltarsi vicendevolmente.


Ero intento a spiegarle il fascino particolarissimo di sentirsi soli all’interno del campo, artefici del proprio destino, nel bene o nel male. Ma era un compito difficile, vista l’impossibilità di usare qualsiasi citazione di Agassi, poiché sarebbe risultata inefficace, rimasta incompresa.


Il tennis è uno sport solitario. Non c’è un posto dove nascondersi quando le cose vanno male. Niente panchina, niente bordo campo, nessun angolo neutrale. Ci sei solo tu, nudo.

Sperimentando l’impossibilità di controbattere a tale osservazione, mi sono reso conto che forse non aveva tutti i torti. Non esiste sport più individuale del tennis. Ogni sforzo - tecnico, fisico, psichico - è volto al raggiungimento di una vittoria che è strettamente personale. Così, l’esaltazione agonistica può venire confusa con il narcisismo e risultare ridicola a un osservatore esterno.


Un po' di storia


Le Olimpiadi sono l’unica occasione in cui i tennisti competono per qualcosa di significativamente più grande di loro stessi. Uno sport storicamente e visceralmente individuale acquista il fascino che le Olimpiadi conferiscono a qualsiasi disciplina: identità e comunità. I tennisti, non essendoci né punti né montepremi, competono per la stessa ragione per cui noi sudiamo sette camicie, davanti al televisore, durante l’ultima volée della finale di tiro con l’arco, inveiamo contro gli arbitri di scherma pur ignorando cosa significhi “parata e risposta” e tentiamo di comprendere gli arguti regolamenti del taekwondo. Patria, onore, gloria.


Imprevedibilità


Questo attaccamento alla bandiera ha diverse conseguenze interessanti. Per esempio, in tempi recenti ci sono stati molti vincitori inaspettati, giocatori che nella rassegna a cinque cerchi hanno coronato la loro carriera. Marc Rosset (1992), Miloslav Mečíř (1988) Elena Dementieva (2008), Monica Puig (2016), e Nicolás Massú (2004) sono giocatori che hanno vinto un oro olimpico pur non avendo vinto nessuna prova del Grand Slam. Una percentuale considerevole, visto che il tennis tra il 1928 e il 1984 non è stato uno sport olimpico a causa di una disputa tra ITF e IOC.



Solamente tra il 2004 e il 2012 - non prima e non dopo - il torneo olimpico ha assegnato punti ATP e WTA. Se da un lato questo è sempre stato il motivo principale di molte rinunce, acuito quest’anno dalla situazione pandemica in Giappone, dall’altro tratteggia un torneo che mantiene, in linea teorica, un’unicità, una certa purezza che non trova nessun paragone nel Tour. Sono sterili le argomentazioni di chi sostiene che le Olimpiadi sono molto meno importanti delle prove del Grande Slam, perché sono competizioni molto diverse nella struttura e nel significato, e proprio in virtù di ciò non ha senso metterle a confronto.


A chi dice che il tennis Olimpico non ha molto valore perché in tante altre discipline i cinque cerchi rappresentano la massima aspirazione degli atleti rispondo che sì, ha ragione, ma gli proporrei di presentare la questione a Monica Puig, e a tutti i portoricani. A tutti gli abitanti di quella piccola isola che si è fermata per una notte, si è raccolta davanti al televisore, chi con i propri cari, chi al bar, chi in piazza. Per guardare una partita di tennis. Per tifare la loro beniamina, affinché portasse alla nazione il primo oro olimpico della sua storia. Ditele che quella medaglia ha poco valore, vediamo cosa vi risponderà. Nicolás Massú è uno dei due atleti cileni ad aver mai vinto l’oro (l'altro è Fernando Gonzalez, e l'oro l'ha vinto anche lui quell'anno, in doppio, in coppia con Massú), e se Novak Djokovic dovesse farcela quest’anno diventerebbe solamente il quarto ad averlo vinto in Serbia.



Raggiungere questi successi con una così intensa partecipazione da parte della nazione ha un sapore diverso rispetto a sollevare un qualsiasi trofeo durante l’anno. Quando il trionfo è condiviso si gioisce insieme, e il tennis è un po’ meno individuale. E l’umanità, dopo diciotto complicatissimi mesi, può dimostrarsi, nello spirito olimpico, migliore di quella che viene dipinta tutti i giorni dai fatti di cronaca.

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