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Immagine del redattoreRiccardo Eger

Storie di resistenza

Le abbiamo ripercorse in lungo e in largo le straordinarie tappe di un 2021 sportivo francamente irripetibile, dal trionfo agli Europei di calcio, passando per le imprese dell’atletica leggera alle Olimpiadi, arrivando alla doppietta del volley azzurro. La melensa retorica del popolo resiliente durante le difficoltà ha permeato ognuna di queste imprese. La forza identitaria della nazione che per prima è stata colpita dalla pandemia sarebbe stata capace di forgiare questi campioni, temprarli nel carattere e rendere loro gli artefici del riscatto dell’Italia intera. Si intravede, in effetti, un filo conduttore, o un disegno divino se preferite, a legare tutti questi avvenimenti. Una componente di follia, imponderabilità e resistenza.


Istantanee di un anno straordinario


La nazionale di calcio che brilla, stravince, poi fatica, inciampa, ma riesce a vincere lo stesso, con la scarpata di Bonucci nella mischia e la lotteria dei rigori. L’oro a pari merito di Tamberi dopo l’infortunio che gli aveva precluso la partecipazione alle Olimpiadi di Rio, l’argento di Paltrinieri dopo la mononucleosi. La favola di Jacobs, quel centesimo che separa Tortu dal rivale inglese, i quattordici centesimi tra la canoa di Rodini e Cesarini e l’imbarcazione francese, l’incredibile rimonta dei fantastici quattro del ciclismo, che guidati da Ganna fanno il record del mondo, nonostante in Italia esista un solo velodromo al coperto, a Brescia. È il cliché dell’italiano medio, storicamente impreparato alle battaglie e perseguitato da fantozziane sfortune che, nonostante tutto, di riffa e di raffa, stringendo patti con il diavolo, riesce spesso a uscirne vincitore. Mi sono chiesto molte volte dove nascesse, in noi, questa virtù. Popolo mediterraneo, latino, impulsivo, irrazionale e fanfarone. Contro tutti i luoghi comuni, questa Italia ha dimostrato di saper resistere di più e meglio degli altri. Non solo nello sport.



Il tennis è ormai un fenomeno mainstream e quest’anno è entrato a far parte della magnificente narrativa sportiva italiana con Berrettini, il primo italiano a disputare una finale sui sacri prati di Wimbledon, portato in trionfo al Quirinale, insieme ai conquistatori di Wembley, nonostante la sconfitta con il cyborg serbo; e Sinner, il giovanotto scapestrato e prodigioso che ha bruciato ogni record di precocità con insospettabile noncuranza. Nell’ultimo biennio tennistico ci sono state storie, partite, imprese piccole e grandi che meriterebbero di essere ricordate in questa irripetibile sequela di successi. Questo non può accadere perché non hanno lo stesso inestimabile valore di una finale a Wimbledon, ma ho voluto perlomeno dedicare loro questo articolo, perché sono giornate che meritano di essere ricordate e personaggi che meritano di essere celebrati.


La quiete prima della tempesta

Mager b. Thiem 7-6(4) 7-5, Rio de Janeiro QF


Si era già parlato, in questo blog, dell’atteggiamento sornione di Gianluca Mager. Un temperamento bipolare che lo porta ad accendersi e spegnersi come una psichedelica lampadina. Una personalità forzatamente confinata in mitezza e sobrietà, che talvolta straborda e esplode in tutta la sua efficace esuberanza. Nell’ultimo torneo che ha potuto concludersi prima della segregazione pandemica, il ligure aveva fatto bingo nella terra rossa sudamericana. Prima dell’ATP 500 di Rio de Janeiro aveva vinto soltanto due partite nel circuito maggiore. Il suo torneo si apre con la sorprendente vittoria su Ruud e si conclude con la sconfitta da Garin in finale, che ha dovuto disputare soltanto due ore dopo la conclusione della semifinale a causa della pioggia. Ma il capolavoro vero sono i quarti di finale con Thiem, il Thiem dominatore dei tornei sul rosso, non quello irriconoscibile di adesso. Un balzo in avanti di 51 posizioni, da 128 a 77 nel ranking ATP. Dopo un’adolescenza tennisticamente complicata, anni di gavetta e molti sacrifici.



Agire nell’ombra per servire la luce

Sonego b. Thiem 6-4 6-7(5) 7-6(5), Roma R16


Avevamo pensato che potesse essere questo il motto di Lorenzo Sonego. Guerriero mai domo, duro nella lotta, leale nell’animo. Questo era il tributo dei tifosi della Viola al loro idolo Batistuta, e anche una perfetta didascalia per ciascuno degli straordinari risultati del torinese. Un guerriero che agisce nell’ombra e nel silenzio mediatico, senza suscitare clamore. Ha fatto impazzire il Foro Italico spingendosi fino alla semifinale, persa al terzo set contro Djokovic. Negli ottavi la vittoria più bella e commovente, un infinito non-sense tennistico fatto di mille corse e rincorse, un’altalena di emozioni interrotta sul più bello dall’assurdo coprifuoco, e conclusa nella sepolcrale atmosfera dello stadio svuotato di tutto il pubblico. Al termine delle tre ore e mezza di battaglia, la più spontanea e genuina delle esultanze. Come le chitarre strimpellate dai balconi durante il lockdown. Un sorriso a 32 denti. La leggerezza di un ragazzino. Un ballo spensierato.



L’ultimo valzer di Paolino

Lorenzi b. Sousa 7-6 (5) 1-6 7-5, US Open Q1


Di fronte allo scorrere del tempo anche uno come Paolo Lorenzi, l’emblema della resistenza tennistica, dovrebbe rassegnarsi e prendere atto che, arrivati a un certo punto, non si è più in grado di lottare come prima. Eppure, non è questo il giorno. Flushing Meadows, campo 6, primo turno di qualificazione dell’ultimo torneo di Paolo Lorenzi. Il senese arriva da un’estate giocata a livello challenger con risultati disastrosi. Sarebbe facile accontentarsi, dopo una carriera come la sua. Ma non è questo il giorno. Rosicchia con astuzia il primo set al tiebreak, ma poi sembra cadere inesorabilmente, spossato dal sole e dai colpi del portoghese. Deve fronteggiare due palle del doppio break nel set decisivo. Non è questo il giorno. Piazza due prime vincenti, si aggrappa al servizio e porta a casa il game. Sfrutta l’unica palla break a sua disposizione nel sesto gioco, si issa sul 6-5 e compie l’allungo finale. Il giocatore più anziano a vincere per la prima volta un torneo del circuito maggiore, Kitzbuhel, a 34 anni. Best ranking al numero 33 del mondo, a 35 anni. 21 titoli e 421 partite vinte nei challenger, a due sole lunghezze dal record di Hidalgo. L’ultima fatica, per concedersi un ultimo giro di valzer. Nessuna ballata in sottofondo, soltanto il rumore sordo e cadenzato delle corde che impattano la pallina. Quello a cui ha dedicato una vita.



La dura legge del quinto set

Seppi b. Fucsovics 2-6 7-5 6-4 2-6 7-6(13), US Open R128


Abnegazione. Spirito di sacrificio; dedizione assoluta e disinteressata al bene altrui o ai propri doveri, spesso accompagnata da una consapevole rinuncia ai propri interessi. Andreas Seppi è un muro incrollabile dagli albori del ventunesimo secolo, dal 2000, hanno in cui colse i suoi primi punti ATP, quando, per dire, Sinner e Musetti dovevano ancora nascere. Troviamo numerose gemme incastonate lungo il suo lungo percorso, la vittoria con Federer agli Australian Open nel 2015, le epopee della Davis, il Pietrangeli infuocato per i tre tiebreak con Wawrinka nel 2012 e molto altro ancora. La sua tempra emerge al meglio sulla lunga distanza, soprattutto nel 2013, hanno in cui infila ben sette vittorie al quinto set consecutive. Al decider ottiene altri memorabili trionfi, soprattutto in Australia, nel 2017 col padrone di casa Kyrgios e l’anno successivo con Karlovic. Alla soglia delle 38 primavere è arrivata l’ennesima meraviglia. Dopo una stagione in cui ha vivacchiato tra scarsi risultati nei tornei ATP e boccate di ossigeno nel circuito minore, ci si aspettava ben poco dall’altoatesino per lo Slam americano. E invece Seppi indovina due vittorie prestigiose, la prima con l’ungherese Fucsovics, piegato solo dopo un allucinogeno tiebreak finale conclusosi 15-13, e poi lo sgambetto a Hurcacz, sconfitto in quattro set. Immenso, infinito Andreas Seppi.



L’arte del saper attendere

Bronzetti b. Gracheva 3-6 6-2 6-3, Australian Open R128


365 giorni fa Lucia Bronzetti si stava allenando, seguita come al solito da Francesco Piccari e Karin Knapp, in vista della trasferta in Egitto programmata a febbraio, dove ha preso parte ad alcuni quindicimila. Tornei dove se perdi al secondo turno porti a casa un centinaio di euro o poco più. Oggi, un anno dopo, Lucia era sulla Rod Laver Arena a sfidare Ashleigh Barty, a divertirsi e a divertire il pubblico australiano. E per perdere al secondo turno ha staccato un assegno da 89.000€. In mezzo ci passano 200 posizioni WTA e più, i sacrifici di una vita, tanto sudroe, tanta gavetta, tre turni di qualificazione giocati splendidamente e una bellissima rimonta contro la russa Gracheva nel primo turno. Onore alla 23enne Lucia Bronzetti, la più piacevole scoperta che questi Australian open ci ha regalato.



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