Ritratto dell’eclettico tennista kazako, uno degli interpreti più atipici del circuito. Nel tempo libero legge Shakespeare, gioca a basket e “rappa” sui versi di Eminem. Oggi ha annichilito Karatsev in due rapidi set, domani gli toccherà Ruud.
A Zurigo, nella Svizzera neutrale della prima guerra mondiale, nasce un movimento artistico e culturale in netto contrasto con i canoni della società. Il dadaismo stravolge le convenzioni dell’epoca, propone il rifiuto della logica e della ragione, esalta la stravaganza e la totale libertà espressiva degli artisti. Il dadaismo combatte l’arte con l’arte, è il nonsense che acquisisce un significato, è grottesca derisione, innocente provocazione.
L’atteggiamento dissacrante e spudoratamente irrispettoso nei confronti dell’arte di quel periodo trova conferma nel nome di questo movimento; il Dada può voler dire tutto e niente: in russo significa due volte “sì”, in tedesco due volte “là”, in italiano è una delle prime parole pronunciate dai bambini – può indicare un giocattolo come una persona – mentre in francese significa “cavallo a dondolo”. E significa – aggiungo io – anche “seconde di servizio a 220 km/h”, “smorzate da ogni zona del campo” e “servizio dal basso per annullare la palla break”.
Alexander Bublik non viene dalla Svizzera, è nato nella fredda Russia e ha scelto di giocare per il vicino Kazakistan, ma incarna perfettamente i valori del dadaismo. Combatte il tennis con il tennis, è un rivoluzionario spensierato e pacifico, un anticonformista con il sorriso sempre stampato in faccia. Non importa che sia terra battuta, erba o cemento. Lui sarà sempre in campo a proporre qualcosa che si discosta dalla normalità; che sia una prestazione superlativa o una pessima, una sfuriata contro l’arbitro o un siparietto con pubblico e raccattapalle. Ricerca soluzioni tanto strabilianti quanto superflue. Apparentemente non ha alcun piano tattico: la sua non-strategia si realizza nell’immediatezza dello scambio, in colpi estemporanei, sempre diversi l’uno dall’altro, che tolgono ritmo e lasciano esterrefatti. Una mano raffinata, un servizio esplosivo e dei colpi sostanzialmente privi di rotazione (soprattutto il rovescio) creano un giocatore difficilissimo da affrontare. L’arroganza (agonistica) dei suoi 23 anni lo rende una vera e propria bomba a orologeria.
Gioca un tennis fatto di scelte imprevedibili, spesso inopportune, che magari proprio per questo si rivelano efficaci. Ne sanno qualcosa Aslan Karatsev e Denis Shapovalov, sue vittime illustri sulla terra battuta madrilena. Il russo, uno dei giocatori più in forma del momento, ha dovuto alzare bandiera bianca per 6-4 6-3. Bublik mette a referto 14 ace e 9 doppi falli, concede 8 palle break e ne annulla 7. Stessa storia per il canadese che, spaesato di fronte alla totale assenza di punti di riferimento, si arrende in tre set. Fatto curioso: è il dodicesimo tennista mancino sconfitto consecutivamente da Bublik.
Con la stessa noncuranza con cui Marcel Duchamp dipinse i baffi alla Gioconda, Bublik continua a mietere vittime nel circuito. Gli manca la costanza, certo, soprattutto nelle prove del Grand Slam, per un ulteriore salto di qualità e la definitiva consacrazione. Ad ogni modo, negli anni a venire, Sasha sarà uno per cui pagherò un biglietto sempre molto volentieri. Un cavallo pazzo che non si lascia imbrigliare nella monotonia del gioco da fondo campo. Un personaggio inimitabile, e per certi aspetti salvifico.
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