Che settimane strane sono state quelle appena passate. È come se un puzzle fosse caduto per terra e nessun pezzo ora è più al suo posto. Sento il bisogno di scrivere, perché scrivere per me è esorcizzare il male, è studiarlo, capirlo e gettarlo fuori. E questo testo non è un articolo e non è una storia; non ha la pretesa di essere nessuno dei due, non ha la pretesa di essere qualcosa. È una narrazione, una trama complicata che come sempre intreccia la mia vita e il tennis.
Ashleigh Barty non è più numero uno. Ashleigh Barty non gioca più. Con un video improvviso annuncia di uscire di scena, mentre è all’apice della sua carriera: ha appena vinto il suo terzo slam, è sul tetto della classifica mondiale e ha uno dei giochi migliori del circuito. Lei, però, sente di aver dato tutto a questo sport e per questo dice basta, e questa volta è per davvero (cfr. si era già ritirata una prima volta a 18 anni, per poi tornare due anni dopo. Ma si sa, a 18 anni non si parla sul serio). È stato uno shock per tutti, nessuno si aspettava un ritiro.
A sostituire l’australiana Ashleigh Barty è arrivata Iga Swiatek. La giovane tennista polacca ha preso molto sul serio questo suo nuovo ruolo e si è lanciata in una missione clamorosa: la vittoria del terzo Masters 1000 di fila e la realizzazione del Sunshine Double. Quest’ultima impresa, in campo femminile, finora era riuscita solamente a Steffi Graf (nel 1994 e nel 1996), a Kim Clijster (nel 2005) e a Vika Azarenka (nel 2016). Alla sua 17esima vittoria consecutiva, Iga, ieri, con l’aggiornamento settimanale delle classifiche, è diventata ufficialmente la numero uno al mondo ed è la prima del suo Paese a raggiungere questo risultato.
Che settimane strane sono state quelle appena passate. Di colpo una chiamata, sento la voce al telefono che grida “dimmi che non è vero!”. Andrea non c’è più, purtroppo è tutto vero e tocca farci i conti. Io, che mi faccio sempre un sacco di domande, da quel momento ho cominciato a farmene una con rabbia lacerante, “perché?”. E poi, perché succedono certe cose e non possiamo farci nulla? Perché non possiamo cambiare il sistema?
Il sistema che ci circonda è, per la stragrande maggioranza dei casi, la causa dei nostri problemi. Lo sa bene Paula Badosa, come lo sa Naomi Osaka, o Coco Gauff. Troppo spesso si rimane intrappolati negli schemi della realtà che viviamo: c’è un sovraccarico di aspettative, responsabilità e doveri. In una ricerca, lo scrittore inglese Oliver James si è soffermato sul modo in cui il capitalismo egoista istiga all’idea che qualsiasi aspirazione o aspettativa possa essere realizzata:
“le tossine più nocive sono quelle che sistematicamente incoraggiano l’idea che per puntare in alto non serve altro che lavorare sodo, indifferentemente dal retroterra familiare, etnico o sociale di provenienza. Se poi non riesci, l’unico da biasimare sei tu”.
Pensiamo all’episodio di due settimane fa, quando al primo turno di Indian Wells una spettatrice ha urlato a Naomi Osaka “fai schifo”. Non c’è da sorprendersi se poi sia scoppiata in lacrime e abbia perso, soprattutto se reduce da un periodo caratterizzato da attacchi d’ansia e depressione. È per questo che sono felice quando vedo la giapponese arrivare in finale al torneo successivo e rientrare tra le prime 40 al mondo: è la vittoria che ribalta il sistema.
Mark Fisher diceva che l’ontologia oggi dominante nega alla malattia mentale ogni possibile origine di natura sociale e ripoliticizzarla è un compito urgente. Inoltre, è importante intravedere un parallelismo tra l’incremento dei disturbi mentali e i nuovi modelli di valutazione per le prestazioni dei lavoratori (o chiunque svolga un’attività che finisce sotto gli occhi giudicanti di tutti), perché è tutto tranne che eccentrico.
Che settimane strane sono state quelle appena passate. Ho anche lavato i piatti in bagno e ho scoperto di essere stata tradita in passato. Ma ho sempre in testa un imperativo, quello di provare a cambiare questa società malata e sbagliata. E in questa idea Andrea è sempre vivo.
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